CHI SONO IO?
Da cosa ricaviamo il nostro senso di identità? Dove attingiamo per definire chi siamo?
L'identità è quell'insieme di caratteristiche particolari che rendono ciascun individuo unico, specifico, definibile e riconoscibile, che rendono una persona quella che è, diversa e distinta da ogni altra.
E’un insieme dei caratteri fisici, anagrafici, psicologici, culturali, etici, valoriali che ci rendono ciò che solo noi siamo.
Eppure se guardiamo a come si struttura la nostra identità durante la crescita, troviamo l’emulazione, l’omologazione, l’aderenza spesso inconsapevole a modelli esterni a noi che ci vengono presentati come ‘giusti’ e ai quali presto impariamo ad allinearci, tanto da farli diventare i nostri modelli interni di riferimento.
Modelli con cui ci abituiamo a confrontarci per definirci, per affermare un pensiero, per scegliere.
Per dire chi siamo, quindi, non impariamo ad aderire a quello che abbiamo dentro e ci caratterizza, ma a confrontarci dentro di noi con un modello acquisito dall’esterno e che è diventato interno: ci definiamo attraverso un dialogo interno con il nostro modello interiore. Dialogo a cui ormai ci siamo assuefatti e che confondiamo con la nostra identità stessa e con il senso di sé, che così è costruito solo cognitivamente.
Spesso questa definizione di sé avviene per contrapposizione e non per affermazione, quindi porta con sé il bisogno di etichettare tutto intorno a noi, di giudicare, interpretare, catalogare, incasellare; di rapportare tutto a quelle categorie di bello, brutto, giusto, sbagliato, che compongono il nostro modello ideale interno.
E che ne è stato della nostra unicità, della specificità, della spontaneità, di ciò che solo noi siamo, o saremmo se non tendessimo a fare nostri, e seguire, modelli altrui?
Della nostra identità insomma? Che dovrebbe distinguerci e invece rischia di uniformarci, attraverso categorie mentali?
Per molti di noi è rimasta schiacciata dal modello concettuale su cui abbiamo creduto di costruirla!
Ed è ancora lì sotto, sotto a tutte le nostre idee di noi, su cui ci siamo creati il senso di sé fin da piccoli.
Il senso di sé non sempre coincide con il sé.
E certo non si costruisce solo su basi cognitive ma pulsa di componenti interne, fisiche ed emotive; di sensorialità, di segnali strettamente legati al momento presente, al corpo, ed alle nostre emozioni più vere.
Pulsa del sé, appunto. Unico, irripetibile.
Allinearsi alla nostra verità interna di chi siamo significa quindi registrare quello che accade dentro di noi a livello organismico e costruire su questo il significato e la verità per noi.
Ascoltare cosa ci dice il corpo, in sensazioni fisiche e sensoriali, e che emozioni attraversa il cuore. Senza giudicarlo.
Significa prenderne atto e stare: stare con quello che accade alle altre dimensioni di partecipazione all’esistenza che non sono pensiero. Senza concettualizzare ciò che accade, senza volerlo spiegare.
E’ stare con noi, in ascolto di noi, interamente. Senza tendere automaticamente a cercare di capire, a seguire un ragionamento logico ed a costruirci mentalmente i parametri di scelta; senza correre a cercare significati, soluzioni, azioni.
Quanto più riusciamo a cogliere l’interezza dei segnali corporei, sensoriali ed emotivi che esprimono la nostra verità rispetto alla situazione o al disagio che stiamo vivendo, quanto più possiamo arrivare a convivere calmi con ciò che emerge di noi - con ciò che è. E quanto più riusciremo a liberare le energie per cambiare il nostro modo di gestire questa stessa verità.
Rispetto ad una scelta da fare, una decisione da prendere, la nostra voce interiore, la verità giusta per noi non è da capire, da concettualizzare, ma piuttosto da cogliere, da registrare attraverso i segnali con cui si esprime la nostra saggezza interna nel momento presente.
Voce che, sola, ci conduce alla soddisfazione che dà l’agganciare pienamente, e non solo cognitivamente, ciò che è giusto per noi.
L'identità è quell'insieme di caratteristiche particolari che rendono ciascun individuo unico, specifico, definibile e riconoscibile, che rendono una persona quella che è, diversa e distinta da ogni altra.
E’un insieme dei caratteri fisici, anagrafici, psicologici, culturali, etici, valoriali che ci rendono ciò che solo noi siamo.
Eppure se guardiamo a come si struttura la nostra identità durante la crescita, troviamo l’emulazione, l’omologazione, l’aderenza spesso inconsapevole a modelli esterni a noi che ci vengono presentati come ‘giusti’ e ai quali presto impariamo ad allinearci, tanto da farli diventare i nostri modelli interni di riferimento.
Modelli con cui ci abituiamo a confrontarci per definirci, per affermare un pensiero, per scegliere.
Per dire chi siamo, quindi, non impariamo ad aderire a quello che abbiamo dentro e ci caratterizza, ma a confrontarci dentro di noi con un modello acquisito dall’esterno e che è diventato interno: ci definiamo attraverso un dialogo interno con il nostro modello interiore. Dialogo a cui ormai ci siamo assuefatti e che confondiamo con la nostra identità stessa e con il senso di sé, che così è costruito solo cognitivamente.
Spesso questa definizione di sé avviene per contrapposizione e non per affermazione, quindi porta con sé il bisogno di etichettare tutto intorno a noi, di giudicare, interpretare, catalogare, incasellare; di rapportare tutto a quelle categorie di bello, brutto, giusto, sbagliato, che compongono il nostro modello ideale interno.
E che ne è stato della nostra unicità, della specificità, della spontaneità, di ciò che solo noi siamo, o saremmo se non tendessimo a fare nostri, e seguire, modelli altrui?
Della nostra identità insomma? Che dovrebbe distinguerci e invece rischia di uniformarci, attraverso categorie mentali?
Per molti di noi è rimasta schiacciata dal modello concettuale su cui abbiamo creduto di costruirla!
Ed è ancora lì sotto, sotto a tutte le nostre idee di noi, su cui ci siamo creati il senso di sé fin da piccoli.
Il senso di sé non sempre coincide con il sé.
E certo non si costruisce solo su basi cognitive ma pulsa di componenti interne, fisiche ed emotive; di sensorialità, di segnali strettamente legati al momento presente, al corpo, ed alle nostre emozioni più vere.
Pulsa del sé, appunto. Unico, irripetibile.
Allinearsi alla nostra verità interna di chi siamo significa quindi registrare quello che accade dentro di noi a livello organismico e costruire su questo il significato e la verità per noi.
Ascoltare cosa ci dice il corpo, in sensazioni fisiche e sensoriali, e che emozioni attraversa il cuore. Senza giudicarlo.
Significa prenderne atto e stare: stare con quello che accade alle altre dimensioni di partecipazione all’esistenza che non sono pensiero. Senza concettualizzare ciò che accade, senza volerlo spiegare.
E’ stare con noi, in ascolto di noi, interamente. Senza tendere automaticamente a cercare di capire, a seguire un ragionamento logico ed a costruirci mentalmente i parametri di scelta; senza correre a cercare significati, soluzioni, azioni.
Quanto più riusciamo a cogliere l’interezza dei segnali corporei, sensoriali ed emotivi che esprimono la nostra verità rispetto alla situazione o al disagio che stiamo vivendo, quanto più possiamo arrivare a convivere calmi con ciò che emerge di noi - con ciò che è. E quanto più riusciremo a liberare le energie per cambiare il nostro modo di gestire questa stessa verità.
Rispetto ad una scelta da fare, una decisione da prendere, la nostra voce interiore, la verità giusta per noi non è da capire, da concettualizzare, ma piuttosto da cogliere, da registrare attraverso i segnali con cui si esprime la nostra saggezza interna nel momento presente.
Voce che, sola, ci conduce alla soddisfazione che dà l’agganciare pienamente, e non solo cognitivamente, ciò che è giusto per noi.