La figura mitologica di EROS Dio dell'Amore
nell'immaginario e nel nostro modo di concepire l'amore e le relazioni affettive.
Eros è una delle divinità più importanti della mitologia greca e allo stesso tempo una delle più ambigue, che mostra aspetti diversi e contrastanti, ed è la figura meno chiaramente definita nella sua essenza divina. Eppure, nella mitologia delle origini, il Dio è incarnazione della potenza dell’amore, costruttore di relazioni sociali, principio animatore e ordinatore dell’universo. A questa forza impetuosa e travolgente anche gli dei stessi non riescono a resistere. Vediamo che cosa ereditiamo come archetipo e caratteristiche della divinità maschile dell’Amore!
Il mito di origine e di nascita
Come per la dea dell’Amore Afrodite, i racconti sulla sua origine mitologica e sul momento della sua comparsa nel cosmo sono contraddittori.
La poesia omerica non conosce Eros come divinità.
Esiodo (circa 700 aC.) racconta che Eros era una forza originaria della creazione, presente prima della comparsa dei Titani e dell’Olimpo. Lo considerava come potenza teogonica dell'amore, nato/partorito dal Caos. Quindi un Dio creatore, il primo Dio nato dal Caos contemporaneamente alla stessa Terra.
Senza di lui nessun altro Dio sarebbe sorto. Nella mitologia delle origini quindi Eros è una divinità primordiale simbolo della creazione e del perpetuarsi degli esseri viventi, principio animatore e ordinatore dell’universo.
L'Eros di Esiodo aveva una potenza enorme era un dio terribile. Era l'elemento attivo dei tempi primordiali, poteva causare danni a cui nessuno poteva porre rimedio, né uomini né dèi.
Successivamente, nella mitologia classica, la figura del dio temibile si trasformò in una divinità greca dell'amore inseparabile compagno di Afrodite. Vi sono diverse versioni della sua genealogia. Compare quasi sempre come figlio di Afrodite. La paternità viene attribuita ad Ares (Marte), Zeus (Giove) o Ermes (Mercurio) e da alcuni viene anche definito senza padre.
Eros fa parte del corteo di divinità al seguito di Afrodite. La madre si serviva del figlio per esercitare la sua potenza universale in cielo e in terra.
Il dio aveva come fiore sacro la rosa. Era considerato il più giovane degli dei.
Cupido che fabbrica l'arco,
Parmigianino, (c. 533-1535),
Kunsthistorisches Museum, Vienna
La poesia omerica non conosce Eros come divinità.
Esiodo (circa 700 aC.) racconta che Eros era una forza originaria della creazione, presente prima della comparsa dei Titani e dell’Olimpo. Lo considerava come potenza teogonica dell'amore, nato/partorito dal Caos. Quindi un Dio creatore, il primo Dio nato dal Caos contemporaneamente alla stessa Terra.
Senza di lui nessun altro Dio sarebbe sorto. Nella mitologia delle origini quindi Eros è una divinità primordiale simbolo della creazione e del perpetuarsi degli esseri viventi, principio animatore e ordinatore dell’universo.
L'Eros di Esiodo aveva una potenza enorme era un dio terribile. Era l'elemento attivo dei tempi primordiali, poteva causare danni a cui nessuno poteva porre rimedio, né uomini né dèi.
Successivamente, nella mitologia classica, la figura del dio temibile si trasformò in una divinità greca dell'amore inseparabile compagno di Afrodite. Vi sono diverse versioni della sua genealogia. Compare quasi sempre come figlio di Afrodite. La paternità viene attribuita ad Ares (Marte), Zeus (Giove) o Ermes (Mercurio) e da alcuni viene anche definito senza padre.
Eros fa parte del corteo di divinità al seguito di Afrodite. La madre si serviva del figlio per esercitare la sua potenza universale in cielo e in terra.
Il dio aveva come fiore sacro la rosa. Era considerato il più giovane degli dei.
Cupido che fabbrica l'arco,
Parmigianino, (c. 533-1535),
Kunsthistorisches Museum, Vienna
Le caratteristiche della divinità maschile dell'AmoreI greci generalmente raffiguravano Eros come un giovane uomo virile, ed anche i romani, che lo chiamavano Amore. Col tempo Eros, che secondo la mitologia aveva fatto la sua comparsa come forza originaria, perse sempre più la sua importanza fino a diventare prima un giovinetto avvenente, un ragazzo birichino che tiranneggia uomini e Dei, e poi come un fanciullo nudo spesso munito di ali. Quel che per lo più è arrivato a noi come immagine di Eros è quindi la rappresentazione di un putto alato, munito di arco e freccia, al servizio di Afrodite, noto col nome di Cupido. I dardi che scagliava mai fallivano il bersaglio: chiunque ne fosse colpito cadeva in preda alla passione d'amore, si trattasse di Zeus o di Afrodite stessa. Le frecce di Eros raggiungevano il fondo del mare così come l‘Olimpo. A questa forza impetuosa neppure gli Dei potevano resistere: lo stesso Zeus, signore dell’Olimpo, venne colpito dalle frecce di Eros. Si narra fche Eros fosse egoista e crudele tanto che Zeus consigliò ad Afrodite di ucciderlo. Ma Afrodite non ebbe il coraggio di farlo e perciò lo nascose nel bosco dove venne allevato dagli animali selvatici rendendolo ancora più capriccioso e malvagio, sia verso gli uomini che verso gli Dei. Fra le varie divinità minori che formavano il corteo di Afrodite, accanto ad Eros c'era Anteros, genio dell'amore reciproco, considerato fratello di Eros, e figlio di Afrodite. Un mito lo identifica come la corresponsione dell'amore. Si narra infatti che Afrodite, unendosi ad Ares (Marte), lo avesse dato per fratello ad Eros bambino, che da solo si annoiava e non voleva crescere, e soltanto in compagnia di Anteros si sentiva felice. Da quel momento i due fratelli crebbero insieme, ma ogni qualvolta Anteros si allontanava da Eros, quando l'Amore non era corrisposto, quest'ultimo ritornava bambino. Vediamo quindi, sia dal mito di nascita che da numerosi altri miti che lo vedono protagonista, come Eros venga identificato con una energia da bambino. Inoltre è significativo come le figure maschili paterne intorno al tema dell’Amore siano incerte, instabili e alla fine poco significative. Padri indefiniti, assenti. Eros è inseparabile dalla madre. L’Amore in forma adulta matura viene imputato alla divinità femminile Afrodite di cui il fanciullo Eros (‘erotismo’) è ‘solo’ una componente e legata all’essere maschio, giovane, immaturo. In questa visione il “maschile”concepisce solo una parte dell’Amore ed è quella di Erotismo Instabilità Assenza Immaturità Eros non si innamora mai se non ‘tardivamente’ di Psiche, ma rimane inafferrabile, nessuno può vederlo in volto. |
Educazione di Cupido,
Correggio, 1527-1528 circa, National Gallery, Londra Eros arciere, copia della statua scolpita da Lisippo 300 a.C. circa, Musei Capitolini, Roma
|
Eros in Platone: Amore, attrazione e relazioni affettive
Molte delle caratteristiche che ancora oggi associamo non solo al Cupido alato che scaglia frecce, ma anche al significato stesso della parola Eros, le dobbiamo ai miti che Platone (Atene 428/427 a.C. -348/347 a.C.) racconta nel suo Simposio. Per bocca degli illustri partecipanti ad un banchetto a casa del poeta tragico Agatone, Platone ci regala una approfondita riflessione sul tema dell’Amore.
Il primo a parlare tra gli invitati è Fedro. Egli afferma che Amore è il più antico fra tutti gli dèi ad essere onorato, come attestano Esiodo, nella Teogonia, e Acusilao, i quali all'origine del mondo pongono il Caos e la Terra e quindi anche Amore.
Pausania introduce la distinzione fra due tipi di Amore. Così come esistono due Afroditi, l’Afrodite Urania, 'celeste', figlia di Urano, e l’Afrodite Pandèmia, 'comune', 'volgare', figlia di Zeus e di Dione,
così esiste una distinzione fra: un Amore Volgare, inteso come Amore sensuale e profano, portatore di disordine, che desidera il corpo dell’altro più che l’altro, e volto ad amare i corpi più che le anime; e un Amore Celeste come Amore intellettuale, portatore di armonia, che desidera l’anima dell’amato, che trascende l'amore corporale e guida verso un sentire elevato, spingendo ad educare l'amato a cose nobili e alte.
Dalla visione di Pausania cogliam,o riguardo all'Amore, un forte messaggio di separazione, una separazione simbolica fra 'tipi di amore', fra soddisfazione dei sensi e sentire; fra armonia, intimità, condivisione e attrazione intellettuale. Tipi di amore concepiti e vissuti come distinti e identificati in due archetipi separati. Questa separazione mi ricorda quella scissione che molti di noi vivono o hanno vissuto nelle esperienze affettive: l'attrazione fisica sessuale e l'attrazione intellettuale o animica come dimensioni separate dell’esperienza amorosa, incarnate spesso da persone diverse, come se una unità che possa integrare entrambe le spinte attrattive, e fondersi in un Amore pieno e soddisfacente, non esista o non sia realizzabile.
Nel mio lavoro incontro molte persone che attriuiscono a persone diverse livelli di attrazione amorosa diversi, sperimentandosi e sperimentando separatamente la molteplicità delle componenti dell'Amore: persone che vivono con alcuni partner un'attrazione sessuale 'volgare' fortissima e con lo stesso partner non sperimentano il desiderio di intimità, di condivisione anche d’anima, o di progettualità. E viceversa persone che vivono un forte legame affettivo costruttivo, fatto di quotidianità e di tenerezza, e con lo stesso partner non sperimentano il coinvolgimento vivo e pieno dei sensi e della sessualità.
Aristofane, poeta comico, racconta la sua visione dell’Amore attraverso il mito dell’androgino scisso.
In origine l’umanità comprendeva tre tipologie di ermafroditi, formati da due degli umani attuali congiunti tramite la parte frontale (pancia e petto) quindi doppi rispetto agli attuali: un doppio maschile, creato da due esseri maschili congiunti, originati dal Sole, un doppio femminile, formato da due esseri femminili, di natura terrestre, e l’androgino, un doppio maschile e femminile di natura lunare.
Questa originaria natura dell’uomo li vedeva doppi nel numero di braccia, di gambe, con una sola testa e i due volti rivolti in senso opposto; ciascuno aveva due organi sessuali nella parte esterna, entrambi maschili negli uomini, femminili nelle donne e uno maschile ed uno femminile nell’androgino.
Erano molto forti e possenti e anche prepotenti e superbi arrivando ad attentare al potere degli Dei del Cielo, tanto che Zeus decise di dividerli a metà, per indebolirli ed evitare che minacciassero la supremazia delle divinità.
“Via via che tagliava, Zeus ordinò ad Apollo di torcere il viso della metà del collo dalla parte del taglio (così che l'uomo avendo sott'occhio quella spaccatura divenisse più tranquillo) e di rimediare a tutte le altre ferite.
E Apollo voltava a ciascuno il viso e, tirato da tutte le parti la pelle sul punto che oggi si chiama ventre, la legava stretta come si stringono i sacchi con un cordone, formando uno strozzamento nel mezzo del ventre, nel cosiddetto ombelico.
Quando dunque la natura umana fu tagliata in due, ogni parte, vogliosa della propria metà le si attaccava, gettandosi con le braccia attorno, chi picchiandosi l'un l'altra, nella brama di fondersi insieme morivano di fame e in generale di inazione, perché nulla volevano fare l'una staccata dall'altra.” …
“Ma impietositosi Giove, ricorre a un'altra trovata traspone loro genitali sul davanti… E per mezzo di essi rese possibile la fecondazione fra di essi attraverso il sesso del maschio in quello della femmina. E ciò appunto con lo scopo che se nell'avvinghiarsi s'incontrasse maschio con femmina generassero e riproducessero la specie; se invece un maschio si imbattesse in un maschio provassero sazietà in quell'accoppiamento, smettessero e si rivolgessero ai loro lavori e alle altre occupazioni della vita.
Ecco dunque da quanto tempo l'amore reciproco è connaturato negli uomini: esso ci restaura l'antico nostro essere perché tenta di fare di due una creatura sola e di risanare così la natura umana”[1]
Dal momento della separazione voluta da Zeus, le parti scisse cercano attraverso l’Amore di ritornare all’unione primigenia.
La separazione crea la brama delle due parti di ricreare la primitiva unità e la felicità perduta. "Ed è appunto questa smania che si chiama Amore"[1].
Amore nasce quindi per il desiderio e l’aspirazione a ricomporre l’intero ed a ritrovare l’unità perduta; per la sete di tornare ad essere Uno. “Ognuno di noi è dunque la metà di un umano risicato a mezzo come al modo delle sogliole: due pezzi da uno solo; e però è sempre in cerca della propria metà”[1].
Il primo a parlare tra gli invitati è Fedro. Egli afferma che Amore è il più antico fra tutti gli dèi ad essere onorato, come attestano Esiodo, nella Teogonia, e Acusilao, i quali all'origine del mondo pongono il Caos e la Terra e quindi anche Amore.
Pausania introduce la distinzione fra due tipi di Amore. Così come esistono due Afroditi, l’Afrodite Urania, 'celeste', figlia di Urano, e l’Afrodite Pandèmia, 'comune', 'volgare', figlia di Zeus e di Dione,
così esiste una distinzione fra: un Amore Volgare, inteso come Amore sensuale e profano, portatore di disordine, che desidera il corpo dell’altro più che l’altro, e volto ad amare i corpi più che le anime; e un Amore Celeste come Amore intellettuale, portatore di armonia, che desidera l’anima dell’amato, che trascende l'amore corporale e guida verso un sentire elevato, spingendo ad educare l'amato a cose nobili e alte.
Dalla visione di Pausania cogliam,o riguardo all'Amore, un forte messaggio di separazione, una separazione simbolica fra 'tipi di amore', fra soddisfazione dei sensi e sentire; fra armonia, intimità, condivisione e attrazione intellettuale. Tipi di amore concepiti e vissuti come distinti e identificati in due archetipi separati. Questa separazione mi ricorda quella scissione che molti di noi vivono o hanno vissuto nelle esperienze affettive: l'attrazione fisica sessuale e l'attrazione intellettuale o animica come dimensioni separate dell’esperienza amorosa, incarnate spesso da persone diverse, come se una unità che possa integrare entrambe le spinte attrattive, e fondersi in un Amore pieno e soddisfacente, non esista o non sia realizzabile.
Nel mio lavoro incontro molte persone che attriuiscono a persone diverse livelli di attrazione amorosa diversi, sperimentandosi e sperimentando separatamente la molteplicità delle componenti dell'Amore: persone che vivono con alcuni partner un'attrazione sessuale 'volgare' fortissima e con lo stesso partner non sperimentano il desiderio di intimità, di condivisione anche d’anima, o di progettualità. E viceversa persone che vivono un forte legame affettivo costruttivo, fatto di quotidianità e di tenerezza, e con lo stesso partner non sperimentano il coinvolgimento vivo e pieno dei sensi e della sessualità.
Aristofane, poeta comico, racconta la sua visione dell’Amore attraverso il mito dell’androgino scisso.
In origine l’umanità comprendeva tre tipologie di ermafroditi, formati da due degli umani attuali congiunti tramite la parte frontale (pancia e petto) quindi doppi rispetto agli attuali: un doppio maschile, creato da due esseri maschili congiunti, originati dal Sole, un doppio femminile, formato da due esseri femminili, di natura terrestre, e l’androgino, un doppio maschile e femminile di natura lunare.
Questa originaria natura dell’uomo li vedeva doppi nel numero di braccia, di gambe, con una sola testa e i due volti rivolti in senso opposto; ciascuno aveva due organi sessuali nella parte esterna, entrambi maschili negli uomini, femminili nelle donne e uno maschile ed uno femminile nell’androgino.
Erano molto forti e possenti e anche prepotenti e superbi arrivando ad attentare al potere degli Dei del Cielo, tanto che Zeus decise di dividerli a metà, per indebolirli ed evitare che minacciassero la supremazia delle divinità.
“Via via che tagliava, Zeus ordinò ad Apollo di torcere il viso della metà del collo dalla parte del taglio (così che l'uomo avendo sott'occhio quella spaccatura divenisse più tranquillo) e di rimediare a tutte le altre ferite.
E Apollo voltava a ciascuno il viso e, tirato da tutte le parti la pelle sul punto che oggi si chiama ventre, la legava stretta come si stringono i sacchi con un cordone, formando uno strozzamento nel mezzo del ventre, nel cosiddetto ombelico.
Quando dunque la natura umana fu tagliata in due, ogni parte, vogliosa della propria metà le si attaccava, gettandosi con le braccia attorno, chi picchiandosi l'un l'altra, nella brama di fondersi insieme morivano di fame e in generale di inazione, perché nulla volevano fare l'una staccata dall'altra.” …
“Ma impietositosi Giove, ricorre a un'altra trovata traspone loro genitali sul davanti… E per mezzo di essi rese possibile la fecondazione fra di essi attraverso il sesso del maschio in quello della femmina. E ciò appunto con lo scopo che se nell'avvinghiarsi s'incontrasse maschio con femmina generassero e riproducessero la specie; se invece un maschio si imbattesse in un maschio provassero sazietà in quell'accoppiamento, smettessero e si rivolgessero ai loro lavori e alle altre occupazioni della vita.
Ecco dunque da quanto tempo l'amore reciproco è connaturato negli uomini: esso ci restaura l'antico nostro essere perché tenta di fare di due una creatura sola e di risanare così la natura umana”[1]
Dal momento della separazione voluta da Zeus, le parti scisse cercano attraverso l’Amore di ritornare all’unione primigenia.
La separazione crea la brama delle due parti di ricreare la primitiva unità e la felicità perduta. "Ed è appunto questa smania che si chiama Amore"[1].
Amore nasce quindi per il desiderio e l’aspirazione a ricomporre l’intero ed a ritrovare l’unità perduta; per la sete di tornare ad essere Uno. “Ognuno di noi è dunque la metà di un umano risicato a mezzo come al modo delle sogliole: due pezzi da uno solo; e però è sempre in cerca della propria metà”[1].
Questa sete di ricomporsi e di ritrovare l’unità perduta è alla base della definizione di Amore come demone, di natura né divina né mortale, che caratterizza l’intervento di Socrate, che
narra il mitodi Eros come Figlio di Penia (Mancanza) e Poros (Espediente) insegnatogli da Diotima, sacerdotessa di Mantinea, sua maestra nella concezione di Amore. Il mito narra che quando nacque Afrodite, gli Dei tennero un grandioso banchetto a cui era presente Pòros che si ubriacò di nettare e schiantato dal bere si addormentò. A fine banchetto arrivò Penìa a mendicare e si sdraiò accanto a Poros, meditando se, nelle sue miserie, le riuscisse di avere un figlio da lui. Così rimase incinta di Eros. "Per ciò in quanto figlio di Poros e Penìa, amore si trova in questa condizione: in primo luogo è sempre povero e tutt'altro che tenero e bello, come invece ritengono i più, anzi è aspro, incolto, sempre scalzo senza casa, e si sdraia sulla terra nuda dormendo all'aperto davanti alle porte per le strade secondo la natura di sua madre, e sempre accompagnato dall'indigenza. Invece per parte di padre insidia i belli e virtuosi, in quanto coraggioso e ardito e veemente, e cacciatore astuto, sempre pronto a tessere intrighi, avido di sapienza, ricco di risorse, e per tutta la vita innamorato del sapere, mago ingegnoso e incantatore e sofista; e non è nato né mortale né mortale, ma in un’ora dello stesso giorno fiorisce e vive, se la fortuna gli è propizia, in altre invece muore, ma poi rinasce in virtù della natura del padre, e quel che acquista gli sfugge sempre via, di modo che amore non è mai né povero né ricco, e d'altra parte sta in mezzo fra la sapienza dell'ignoranza.” [1] Eros, Amore, quindi ci viene presentato attraverso questo mito non come un gran Dio che ama le cose belle. E non era né bello né buono ma piuttosto un’entità a mezzo fra mortale e immortale, un ‘demone’ – ‘genio’. Eros rappresenta così la ricerca di completezza che causa l'amore (Penìa) e le mille astuzie a cui sono pronti gli amanti per raggiungere i loro scopi amorosi (Pòros). Ed ha una duplice natura, essendo figlio di abbondanza e povertà conserva caratteri di entrambi i genitori. Penìa è caratterizzata dal vuoto, dallo struggimento, dalla mancanza, dal mendicare, da una lacuna, da povertà interiore, dal non sentirsi appagata nel proprio sé. E’ affranta nella sua miseria sentimentale, è assetata, si strugge cercando in ogni dove una fonte a cui dissetarsi per riuscire a sconfiggere il vuoto che ha dentro. Chissà che non sia la funzione di Penìa a favorire gli abbagli sentimentali... |
La scuola di Atene,
Raffaello Sanzio (1483–1520), Stanza della Segnatura, Palazzi Pontifici, Vaticano. La scuola di Atene, dettaglio di Platone
|
Pòros non ha qualità molto più nobili. È caratterizzato dall’insaziabilità di nettare, è smanioso, brama continuamente il possesso e l'appagamento dei sensi. Non ha il senso del pericolo, è un cacciatore, si esalta, è passionale, sfacciato, e non vede l'ora di stordirsi e soddisfare i bisogni dei propri sensi.
E' questa la descrizione di un amore acerbo, primitivo, adolescenziale, da entrambe le parti, in cui una parte, in questo caso la donna, si muove per mancanza e l'altra parte, l'uomo, fugge per brama insaziabile di novità e di soddisfazione dei sensi.
È la descrizione dell'innamoramento in cui manca una consapevolezza interna all'individuo ed una ricerca interiore. E' l'amore, inteso come moto
dell'animo e non come forma di relazione.
Qui possiamo fare una riflessione su come, da questa pulsione infantile che spinge gli esseri uno verso l'altro, sia possibile evolvere ed arrivare a costruire amore e relazioni affettive. Come può nascere un Eros equilibrato, soddisfacente, che sia parte di una relazione affettiva di scambio, rispetto, condivisione, che si fondi sulla gioia dell'unione e non sul bisogno di compensazione reciproco?
Per me la risposta sta nell'intraprendere un cammino di crescita e maturazione individuale da entrambe le parti.
Nella definizione di un senso di identità e pienezza personale da parte di Penìa.
Nel superamento dell'unica tensione all'appagamento personale e sensoriale di Pòros, ed un rallentamento per assaporare tutte le dimensioni dell'esperienza amorosa sessuale relazionale.
È in un percorso di consapevolezza interiore, di realizzazione di sé stessi come esseri unici, autonomi e autentici, che può stare la chiave per evolvere da questa visione adolescenziale dell'amore verso la creazione di un amore profondo, rispettoso, appassionato e intimo.
Come scrive Angelo Bona: "Prima di trovare l'altra metà della mela dobbiamo con molta umiltà iniziare a cercare il nostro sé"[2].
Troverete presto nel Mito del mese l'approfondimento di un mito in cui Eros è protagonista, mito che trovo particolarmente significativo proprio in questa prospettiva di evoluzione verso una stima e conoscenza di sé che generi un amore maturo: il MITO FAVOLA DI AMORE E PSICHE.
[1]Platone (2003), Parmenide-Filebo-Simposio-Fedro, Opere complete. Vol. 3, Giannantoni G., Zadro A., Pucci P., Biblioteca universale
Laterza
[2]Bona A. (2006), Come riconoscere l’altra metà della mela evitando il bruco, Edizioni Pendragon, Bologna
E' questa la descrizione di un amore acerbo, primitivo, adolescenziale, da entrambe le parti, in cui una parte, in questo caso la donna, si muove per mancanza e l'altra parte, l'uomo, fugge per brama insaziabile di novità e di soddisfazione dei sensi.
È la descrizione dell'innamoramento in cui manca una consapevolezza interna all'individuo ed una ricerca interiore. E' l'amore, inteso come moto
dell'animo e non come forma di relazione.
Qui possiamo fare una riflessione su come, da questa pulsione infantile che spinge gli esseri uno verso l'altro, sia possibile evolvere ed arrivare a costruire amore e relazioni affettive. Come può nascere un Eros equilibrato, soddisfacente, che sia parte di una relazione affettiva di scambio, rispetto, condivisione, che si fondi sulla gioia dell'unione e non sul bisogno di compensazione reciproco?
Per me la risposta sta nell'intraprendere un cammino di crescita e maturazione individuale da entrambe le parti.
Nella definizione di un senso di identità e pienezza personale da parte di Penìa.
Nel superamento dell'unica tensione all'appagamento personale e sensoriale di Pòros, ed un rallentamento per assaporare tutte le dimensioni dell'esperienza amorosa sessuale relazionale.
È in un percorso di consapevolezza interiore, di realizzazione di sé stessi come esseri unici, autonomi e autentici, che può stare la chiave per evolvere da questa visione adolescenziale dell'amore verso la creazione di un amore profondo, rispettoso, appassionato e intimo.
Come scrive Angelo Bona: "Prima di trovare l'altra metà della mela dobbiamo con molta umiltà iniziare a cercare il nostro sé"[2].
Troverete presto nel Mito del mese l'approfondimento di un mito in cui Eros è protagonista, mito che trovo particolarmente significativo proprio in questa prospettiva di evoluzione verso una stima e conoscenza di sé che generi un amore maturo: il MITO FAVOLA DI AMORE E PSICHE.
[1]Platone (2003), Parmenide-Filebo-Simposio-Fedro, Opere complete. Vol. 3, Giannantoni G., Zadro A., Pucci P., Biblioteca universale
Laterza
[2]Bona A. (2006), Come riconoscere l’altra metà della mela evitando il bruco, Edizioni Pendragon, Bologna
Registro AssoCounseling n.A0856 - Professione disciplinata ai sensi della Legge n° 4/2013